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Milano, 31 ottobre 2018 – La pubblica accusa chiede dieci anni di carcere per i quattro giovani che aggredirono con calci, pugni e otto coltellate Niccolò Bettarini, figlio di Simona Ventura e Stefano Bettarini, lo scorso primo luglio davanti alla discoteca Old Fashion. Nel processo con rito abbreviato di fronte al gup Guido Salvini, gli imputati rispondono di tentato omicidio aggravato.

«Ho provato solamente rabbia nel rivederli, ma credo nella giustizia» ha detto ai cronisti il giovane, che era in aula. Niccolò, 19 anni, è «risultato positivo ai test sull’uso di stupefacenti» quel mattino, come certifica la cartella clinica acquisita nel processo su richiesta delle difese, ma «questo non è reato ed è irrilevante» al fine della ricostruzione del tentato omicidio ai suoi danni, ha spiegato il pm Elio Ramondini nel suo intervento nell’udienza a porte chiuse. E l’avvocato Alessandra Calabrò, legale di Bettarini, sostiene che «i medici del 118 gli hanno somministrato sostanze oppioidi per il controllo del dolore. A questo è dovuta la positività: farmaci e non droghe. La ricerca della cocaina è risultata negativa». Le difese potrebbero puntare però su quei dati della cartella clinica per provare a far cadere l’aggravante dei futili motivi, sostenendo che fu il ragazzo, sotto effetto di droga, a colpire per primo uno degli imputati con un pugno.

Per il pm, invece, Bettarini, intervenuto per difendere un amico, venne aggredito dal branco in quella che, prima di chiedere le condanne per tutti, ha definito una «brutale aggressione». Davide Caddeo, il 29enne accusato di aver sferrato le otto coltellate (difeso dall’avvocato Robert Ranieli), Alessandro Ferzoco (con il suo legale Mirko Perlino), Andi Arapi e Albano Jakej (avvocato Daniele Barelli), secondo le accuse si erano «certamente» prefigurati che quel pestaggio e quei fendenti in «parti vitali» con una lama da 20 centimetri «avrebbero comunque potuto produrre conseguenze mortali», anche in considerazione della «loro superiorità numerica e della violenza della loro azione». Il pm Ramondini ha anche contestato agli imputati l’aggravante di aver «agito per motivi abietti (in quanto discriminatori) e futili» per quella minaccia («sei il figlio di Bettarini, ti ammazziamo») che lo stesso Niccolò ha sentito quel mattino, dopo la notte passata in discoteca.

Stando alle indagini, il giovane riuscì a salvarsi per «motivi indipendenti dalla volontà dei quattro fermati», solo grazie all’intervento di alcuni amici che si gettarono nella mischia, tra cui anche una ragazza. Agli atti, Bettarini ha raccontato infatti che quando lo buttarono a terra fu la sua fidanzata a correre in suo aiuto, venendo anche lei picchiata. In seguito, un amico riuscì a tamponare le sue ferite utilizzando la sua maglietta. Niccolò venne operato d’urgenza all’ospedale Niguarda per un intervento di ricostruzione del nervo dell’arto superiore. È ancora aperta, nel frattempo, l’inchiesta coordinata dal pm Ramondini per individuare altri possibili responsabili del tentato omicidio presenti quella notte, almeno un paio. Due degli imputati hanno depositato ieri al giudice dichiarazioni scritte nelle quali, in sostanza, spiegano di essere rimasti coinvolti nella «rissa» ma senza alcuna intenzione di uccidere.

Fonte https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/niccolo-bettarini-1.4270633

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